Bruno Rosada per “Percorsi Paralleli?” (2010)

La pittura più recente di Carla Erizzo.

E’ un problema fondamentale: l’innovazione con coerenza; progredire senza deviare. E’ quello che fa nella sua pittura Carla Erizzo. Alcuni anni fa ebbi a scrivere di lei col titolo “Tra luce e realtà la pittura di Carla Erizzo”; ora esaminando le sue opere più recenti trovo che in fatto di luce non aveva proprio nulla da aggiungere e modificare: c’era e rimane un assoluto rigore provvisto di una intensa carica espressiva. La luce nei suoi quadri è il risultato di un cromatismo accorto e comunicativo, dove il disegno e la struttura svolgono una funzione subalterna. Proseguendo sulla linea della pittura tonale del Rinascimento veneto, Carla Erizzo ha saputo sotto questo aspetto cogliere quanto di meglio ha prodotto il Novecento, soprattutto il non-figurativo del Novecento.
Dove invece si nota un approfondimento concettuale è nella definizione pittorica della realtà, che si manifesta più espressamente come materia. Una materia vista dall’esterno, come dev’essere la materia nella realtà pittorica, ma intrinsecamente tale; se possiamo giocare con le parole vorrei dire: una materia materiale.
Del resto il termine realtà, soprattutto in pittura, si ammanta di significati che hanno di norma una funzione dissimulatrice: basti pensare a tutto l’impressionismo dell’Ottocento, che ci ammanniva una realtà illusoria e ingannatrice, la cui grandezza stava nella alterazione. Perciò parliamo di “materia”. Ma il discorso pittorico a questo punto assume valori e significati nuovi e diversi, affidati a un fondamentale elemento, la struttura (qui sì la struttura è importante, per la “materia”, non per la luce), con due forti complementi, l’intitolazione e le presenze figurative, che insieme costituisco il significato dell’opera.
L’intitolazione. L’ho già scritto a proposito di Carla Erizzo (e di pochi altri artisti): “Ottavio Paz ha scritto (parlava di Duchamp) che nell’arte moderna assumono sempre più importanza i titoli dei quadri. Io penso che il titolo è l’altra metà del quadro, il significato riposto, nascosto e svelato allo stesso tempo dalla rappresentazione”. Ma qui in queste opere più recenti c’è qualcosa da aggiungere, perché qui talvolta l’intitolazione si limita a precisate il senso dell’opera pittorica, la descrive e la riassume, come può essere un titolo quale “Lezioni di vela” o “In daddy’s arm” (ma già in quest’ultimo quadro il fatto che sia detto in inglese suggerisce un elemento emotivo diverso da quello che potrebbe essere “In braccio al babbo”). Ma per lo più per altre opere il titolo dice molto di più, assume un significato concettuale intenso, come per esempio “La resa” o “Alternanza di umore” o “Forza, alzati” e in qualche modo continua e amplia il significato del quadro.
E veniamo alle presenze figurative. Noi usciamo da un secolo di pittura

non-figurativa e non sembri azzardato né polemico riconoscere che le pur innumerevoli potenzialità del cosiddetto astrattismo si sono pressoché esaurite. Già con Rothko (che è morto quarant’anni fa) la produzione non-figurativa sembrava aver raggiunto il massimo livello possibile. Andare oltre appariva già allora difficile, o forse impossibile. Né era agevole un ritorno al figurativo, che dalla fine dell’Ottocento non aveva avuto evoluzione in Europa, se si eccettua il realismo socialista oltremodo statico.
Carla Erizzo affronta con decisione il problema proponendo una soluzione con le presenze figurative in un contesto pittorico sostanzialmente non-figurativo. Questo dà alle sue opere, oltre che un aspetto risolutivo, oltre che un contenuto emozionale molto intenso.
Si veda per esempio “Sky Driving”. Le automobili tutte di colore rosso sono immerse in una realtà che il titolo suggerisce, le nuvole del cielo. Ma questo cielo nuvoloso è un riuscito esperimento di arte astratta. L’opera sembra (ed in qualche misura è) la realizzazione della tesi di Wilhelm Worringer, in “Astrazione ed empatia” che risale al 1907, che è forse più attuale oggi che allora. Il termine “empatia” che traduce un po’ approssimativamente il termine tedesco Einfühlung sta ad indicare una sorta di condizione armonica, una comprensione intuitiva della realtà naturale, e Carla Erizzo armonizza in una unità organica prodotta dalla struttura e dal cromatismo, quelle automobili rosse e quelle nuvole.
Analogo discorso va fatto per moltissime altre opere: si consideri ad esempio “Alternanza di umore”. La realtà è pienamente riconoscibile: cielo e terra. Un astro nel cielo, una figura umana a terra col braccio levato; ma l’astro è disarmonico, la terra è rosso sangue, la figura umana riconoscibile a fatica, e il cielo solcato da numerosissimi sottili segni bianchi che sembrano le tracce dei percorsi di una serie confusa e disordinata di corpi celesti. Qui la realtà del paesaggio e della figura passano in secondo piano sopraffatti dal significato concettuale dell’opera che in qualche misura vuole segnalare il disordine cosmico e la sofferenza umana che produce l’indignata protesta del braccio levato. Ma l’esegesi potrebbe anche essere diversa. La labilità delle cose è vissuta per immersione in esse fino a sconfinare nella totale immaterialità: la percezione delle apparenze sembra essere l’unico elemento costitutivo della realtà esterna, che sommessamente dice: Io sono, però. Ma continuamente allude e rinvia ad un’altra realtà.
In “Forza, alzati” la realtà è ancora più dissimulata dalla forma pittorica che ha il sopravvento e si carica si contenuti prevalentemente emotivi. La luminosità cupa, che il biancore centrale fa risaltare, assume una notevole importanza per la trasmissione di dati qui più emotivi che concettuali.
Un documento interessante è “La sfida”, l’unica opera di Carla Erizzo a comparti che sviluppa un discorso articolato e fortemente concettualizzato. La sfida è tra un mondo industriale inquinato e cupo, nebbioso, sostanzialmente disumano, e un mondo naturale sereno, solare, che manifesta pienamente le bellezze della natura. Qui il gioco dell’astrazione si manifesta negli spazi vuoti ed ha ancora una volta una funzione prevalentemente psicologica, di sottolineatura dei concetti.
Un’ultima considerazione, quasi superflua, che vale per la quasi totalità delle sue opere. I suoi quadri sono anche belli. Cioè, no. Belli è una parola ingannevole; non si dovrebbe usare mai per un’opera d’arte, né letteraria, né pittorica. Diciamo che sono estremamente gradevoli, che stanno bene in una stanza bene arredata. L’importante è rendersi conto che sono anche qualcosa di più. Si potrebbe continuare con l’esame di tutte le opere di Carla Erizzo e troveremmo un dato costante, il pensiero. Dietro quella apparenza gradevole c’è un pensiero; ogni quadro dice di più della sua immagine, ogni quadro dissimula e svela al tempo stesso un pensiero profondo, una emozione intensa.

Bruno Rosada